mercoledì 15 luglio 2015

La donna del treno














Ogni mercoledì viene a pulire, Tamali, una ragazza dello Sri Lanka, che da alcuni mesi mi aiuta nelle faccende domestiche. Le lascio la chiave nella cassetta della posta perché a quell'ora in casa non c'è nessuno. Verso mezzogiorno, alla fine delle mie lezioni, per non intralciare il suo lavoro, vado a fare la spesa al mercato, quindi quando ritorno Tamali ha finito di mettere a posto. La saluto, scambiando con lei qualche parola.
Quel mercoledì di fine giugno, erano appena conclusi i miei impegni lavorativi, quindi ero rimasta a casa. Mi sono svegliata presto con un sacco di energia: ho spolverato le finestre, i davanzali e le persiane, prima che Tamali arrivasse. Dopo abbiamo pulito insieme il frigo con acqua e aceto e abbiamo sistemato per bene le poche cose contenute in esso: un'insalata, due pomodori, tre vasetti di yogurt, un cartone latte e un pezzo parmigiano.
- Oggi devo fare la spesa, ho pensato.
Mentre svuotavamo il congelatore mi ha raccontato che sua madre, sulla cinquantina, ancora residente nello Sri Lanka, vorrebbe trasferirsi in Italia per raggiungerla. Poi mentre asciugava con cura i cassetti del frigo mi ha detto:
- Nel mio paese non c'è lavoro, siamo tutti molto poveri. Il governo cingalese non vuole fare uscire tutte le persone che lo richiedono. Sono migliaia e migliaia che si trovano nella situazione di mia madre. Lei dovrà aspettare il visto, un anno o più, anche se l'Italia ha già detto di si
- Da quanto è che manchi del tuo paese? Le ho chiesto, mentre con una spugnetta levavo il ghiaccio, che piano piano si scioglieva e si staccava dalle pareti del surgelatore.
- Sono tre anni che non ci vado. Avrei tanta voglia di andarci, ma i biglietti aerei sono troppo cari e noi siamo in tre. Forse nel 2018 potremo ritornarci.
Poi mi ha confidato che, nonostante le difficoltà incontrate in Italia, si riteneva una donna fortunata, perché, suo marito era riuscito a trovare un lavoro fisso, entrambi avevano ottenuto il permesso di soggiorno, era nata, tre anni prima, la loro bambina e lei due volte la settimana lavorava come donna delle pulizie.
Appena Tamali è andata via, mi sono seduta sul divano e invece di cercarmi innumerevoli cose da fare o di programmarmi la giornata, come faccio di solito, sono stata ferma per un bel po', pensando alle parole di quella ragazza. Poi ho aperto il libro che avevo comprato qualche giorno prima. Uno dei personaggi del romanzo era un ragazzo africano, che viveva in una casa-famiglia, ma che durante il fine settimana veniva ospitato dalla protagonista, una donna infelice, appena abbandonata dal marito. Entrambi cercavano di aiutarsi, questo mi ha commossa.
Ho finito di leggere quel libro tre giorni dopo, in treno, durante il viaggio di ritorno da Livorno. Ma cominciamo dall'inizio:
Era sabato mattina e mentre stavo passeggiando per il centro della città, con Anna, un amica che aveva studiato con me all'Università, ma che appena laureata si era trasferita a Bari, ho ricevuto una chiamata di Eleonora, un'altra amica di vecchia data.
Anna in quei giorni era a Firenze per partecipare a un convengo di Micropaleontologia e quindi era venuta a trovarmi. La mattina abbiamo fatto una lunga passeggiata per i giardini di Villa Bardini e mentre camminavamo ci siamo raccontate tante cose. Mi sembrava che il tempo non fosse passato, la sentivo molto vicina, nonostante fossero trascorsi diversi anni dall'ultima volta che c'eravamo incontrate. Mentre scendevamo da Costa San Giorgio i nostri discorsi sono volati via verso le vacanze estive; lei mi ha parlato entusiasta della bellezza delle isole Tremiti, dove andava spesso col marito, io invece le ho raccontato della prima volta che eravamo andati, U. ed io, all'Isola d'Elba, era primavera ed e tutto era fiorito.
Mentre parlavo ad Anna di Eleonora, perché era stata lei a farci scoprire l'isola, è suonato  il mio cellulare. Che coincidenza! Era proprio la mia amica elbana, la quale mi ha fatto sapere che suo padre novantenne, era morto a Livorno due ore prima. Ero dispiaciuta, ma udendo la voce serena di Eleonora mi sono sentita un po' sollevata.
Anna ed io, ci siamo incamminate verso un piccolo ristorante nel quartiere di Santa Croce, non lontano da casa. Mentre mangiavamo un delizioso piatto a base di verdure, la mia amica mi ha parlato  della sua ricerca, a cui dedicava corpo e anima, sui nannofossili calcarei e sulle le loro applicazioni paleoclimatiche.
Dopo quelle parole piene di entusiasmo, mi è venuto in mente un ricordo lontano del padre di Eleonora e ho deciso che l'indomani sarei andata a porgere l'ultimo saluto alla salma.
Avevo parlato a lungo con il padre di Eleonora una sola volta. Era il mese di agosto di 1989, lui era venuto a prendermi a Cavo, dove ero arrivata in aliscafo da Piombino. Ero incinta di mia figlia, mio marito era a Budapest per un seminario ed Eleonora mi aveva invitata a passare alcuni giorni nella loro casa di famiglia.
Il padre di Eleonora, mentre guidava, mi raccontò della sua passione per la natura, gli strati rocciosi, i fossili e la morfologia del terreno, soprattutto quella dell'Isola dell'Elba, dove era nato. Quel giorno capii che era un grande uomo e anche il motivo per il quale, qualche anno prima, si era iscritto, nonostante il suo lavoro impegnativo, alla facoltà di Geologia di Pisa.
Il giorno dopo, durante il viaggio in treno, ho continuato a leggere il libro del ragazzo africano che conviveva con la donna infelice, ma spesso alzavo la testa e guardavo le persone, cariche con voluminosi borsoni da mare, che passavano frettolose.
A un certo punto una ragazza con una coda di cavallo e pantaloncini corti, mi ha chiesto se le tenevo le sue cose, perché doveva andare in bagno e non si fidava di lasciarle incustodite. Mi ha dato l'impressione che fosse una ragazza triste, sembrava molto sola. Mi sono immaginata che si fosse sforzata di uscire di casa quella mattina, nonostante nessuno l'aspettasse. Il contenuto della a sua borsa di paglia era in disordine, come se avesse buttato dentro in fretta tutto ciò che poteva esserle utile sotto l'ombrellone. Tra le creme, spazzole, occhiali da sole, asciugamani e fogli di giornali stropicciati, ho visto spuntare un libro.
E' ritornata dopo un bel po':
- La ringrazio tanto. Scusi se ci ho messo troppo. Il bagno vicino era fuori servizio e quello dell'altro vagone era occupato, mi ha detto sorridendo.
- Non ti preoccupare, io scendo a Livorno, non mi hai assolutamente disturbata.
- E' la prima volta che viaggio da sola e mi sento un po' a disaggio, ha detto la ragazza mora, come sollevata di aver detto a qualcuno della sua solitudine.
- I libri possono esserci di gran compagnia. Le ho detto io.
Dopo entrambe ci siamo messe a leggere, ognuna il proprio romanzo.
Nell'obitorio, dove era esposta la salma del padre, Eleonora,  sua  madre e sua sorella sono state molto affettuose con me.
Nel viaggio di ritorno, tra la stazione di Empoli e Firenze, ho finito di leggere il libro; l'ho accarezzato e poi l'ho depositato nella mia borsa come se fosse un piccolo tesoro.
Guardando dal finestrino, ho visto scorrere lo stesso paesaggio che vidi la prima volta che viaggiavo in treno da Barcelona a Firenze. Ho pensato che, nonostante gli anni trascorsi, mi sentivo la stessa donna di allora, sempre seduta sul treno con un libro in mano, ma forse un po' diversa, perché avevo imparato ad amare, oltre che gli altri, anche me stessa.



Nessun commento:

Posta un commento