venerdì 1 novembre 2013

Il sapore salato della scelta












Alcune mattine fredde quando andavo a lavorare in bicicletta, mi cadevano lungo il viso delle  lacrime.
- Sarà il freddo? mi domandavo.
Un giorno soleggiato di gennaio il sapore salato dei due rigagnoli che scendevano dalle mie guance fino ad sfociare nella bocca, portò i miei pensieri verso il paese della costa catalana dove ero nata.
Era un giorno di fine di agosto di 1977, mi trovavo seduta nella parte interna e più ombrosa della terrazza che dava sul giardino della vecchia casa di famiglia. C'era un grande silenzio perché tutti dormivano la siesta. Mi vedevo mentre scrivevo una lettera a U., il mio innamorato. Ero triste e le mie lacrime bagnavano la carta velina come quelle prime gocce indecise che cadono quando si avvicina un temporale. Le parole che scrivevo con la penna stilografica, si scioglievano e diventavano sempre più sfocate.
Ricordavo il sapore salato di quella scelta dolorosa che dovevo fare in quei giorni:
Andare a Firenze a vivere con U., che pochi mesi prima avevo incontrato, trasferendomi quindi all'Università di Firenze o rimanere a studiare a Barcellona come volevano i miei.
Verso le quattro, quando il paese cominciava a svegliarsi, sentii lo scampanellio della bicicletta di Anita la llevadora1.
Mia madre andò ad aprire la porta, come tutti giorni, perché riconosceva quel famigliare tintinnio. La llevadora arrivava puntuale a farle la solita puntura.
Entrambe si sedettero poi in giardino a prendere un caffè. Dopo poco mia madre si mise a piangere, perché temeva che io andasse a vivere in Italia da lì a poco.
Anita fu molto dolce con lei, per consolarla le disse, riferendosi a me, che nella vita bisognava fare la scelta che sentivamo più giusta per noi, anche se era dolorosa per gli altri e così facendo le raccontò che anche lei aveva dovuto prendere una decisione. Da quel balcone ascoltai incuriosita la storia di Anita e ne rimasi affascinata.
Sapevo che Anita era nata all'inizio del secolo nelle terre catalane, ma prima che scoppiasse la guerra civil2 era andata a lavorare come levatrice in un paesino andaluso della Sierra Morena. In Andalusia aveva sposato Anselmo ed erano stati felici fino alla morte prematura del loro primo figlio. Dopo alcuni mesi avevano chiamato Anselmo al fronte ed era sola quando erano spuntati i piedi del suo secondo figlio, ma subito era sfiorito. Lei per sopravvivere aveva cercato di convivere con la nascita dei figli altrui e la morte dei suoi. Ma dopo il suo racconto capii che non sempre ci era riuscita e la notte il dolore la attanagliava.
Ricordo che raccontò, quasi in forma maniacale, i momenti della sua travagliata scelta e quindi della sua partenza:
Era già sera quando Anita la llevadora arrivò alla stazione del piccolo paese della costa catalana. Sembrava una peonza3, perché mentre camminava veloce girava la testa insieme al suo corpo tondo, tondo, in cerca di Anselmo.
 -Quale era il motivo di tutta quella fretta? Si domandò. Prima pensò che la sua sveltezza fosse dovuta all'emozione mescolata al timore e all'impazienza di sbarcare nella sua amata Catalogna.
Si fermò all'improvviso e capii che correva per non tornare indietro nella scelta che aveva dovuto fare qualche giorno prima. Mentre guardava la profonda bellezza dei monti della Sierra Morena, tra le lacrime, aveva deciso di partire, lasciando per sempre il piccolo camposanto sotto gli ulivi. Voleva ricominciare una nuova vita nella terra in cui era nata.
Anselmo era rimasto indietro perché diversamente da lei si muoveva lentamente, non solo per il pesante bagaglio ma per il suo carattere un po' flemmatico e parsimonioso.
Anita era salita su una panchina della piazza vicino alla stazione, per vedere tra la gente, ma non scorgeva né lui né le grandi valigie. Su quella torre di avvistamento cominciò ad avere i primi dubbi:
- Avrò fatto bene ad accettare il posto di levatrice in questo tanto sognato nido  lontano?
- Avrei dovuto restare nell'Andalusia, dove Anselmo avrebbe voluto vivere insieme a me e  dove sono sepolti i nostri figli?
- Forse nella mia terra potrò essere di nuovo felice pensò dopo, per farsi forza.  Ma Anselmo si sarebbe trovato bene in quei lidi?
Per un attimo trattenne il respirò e senza rendersi conto le scappò un gemito.
Rimase immobile guardando il mare solcato da alcuni goffi pescherecci che rientravano stanchi al porticciolo.
Il sapore di sale delle sue lacrime le ricordò i versi di una poesia di Antonio Machado che amava molto:
todo pasa y todo queda
pero lo nuestro es pasar,
pasar haciendo caminos,
caminos sobre la mar4
I suoi dubbi furono placati da quella strofa e dalla tenue brezza di mare che accarezzava la sua nuca.
Subito tornò in lei il buon umore.
Dopo poco tempo, che ad Anita era parso un'eternità, tra la gente, intravide Anselmo. Era buffo, con quel bagaglio ingombrante, sembrava una bilancia a due braccia che si muoveva, su e giù, su e giù, senza riuscire a trovare mai l'equilibrio. In quelle valigie era contenuta la loro storia, i momenti felici pesavano appena un po' di più di quelli infelici, voleva così pensare Anita vedendo quella bascula umana.
Corse ad aiutare quel povero uomo rinsecchito, carico come un mulo, che pur di accontentarla, dalla mattina alla sera aveva lasciato la sua barberia5 e cavalcato insieme a lei sul primo treno verso il nord, quello che partiva all'alba.
Passò un carro e si fermò vicino a loro. L'uomo che lo conduceva gli diede un passaggio e caricò sopra le loro pesanti valige.
Il cavallo che tirava il carro non era più giovane, ma era molto vitale, come l'uomo che lo guidava e che risultò essere Don Ramòn Aubanell Fontrodona, un vecchio amico del defunto patrigno di Anita. Era così felice Don Ramòn di quellincontro, che li invitò a cena per far loro incontrare sua moglie e Marcel, suo figlio piccolo.
Dopo aver mangiato, Marcel Aubanell Garriga, che era diventato un bel giovanotto, cantò per loro delle canzoni popolari catalane. Sentendo quelle melodie, Anita fece un leggero movimento con la lingua e leccandosi le labbra sentii di nuovo i sapore salato delle lacrime, ma capì che quel senso di dubbio, che aveva prima esperimentato, era svanito del tutto ed adesso era diventato la sua certezza.
Anita era contenta della sua scelta e uscendo dalla casa di Don Ramòn abbracciò Anselmo e si incamminarono piano piano verso la loro nuova dimora.
Mentre scendevo dalla terrazza avevo già deciso che sarei partita, nonostante il dolore che causavo alla mia famiglia. Ricordo che a metà pomeriggio uscii di casa per comprarmi una grande valigia, nella quale avrei messo i miei vestiti, i mie libri e la carta velina per scrivere ogni settimana una lettera a mia madre.
In quel giorno soleggiato di gennaio tra una pedalata e l'altra, sentendo il sapore salato delle lacrime, ho pensato che ero proprio felice della scelta che avevo fatto tanti anni prima.
1La levatrice
2Guerra civile
3trottola
4Tutto passa e tutto resta, ma questo nostro è un passar,   passar facendo strada come le navi sul mare.
5Negozio dei barbieri

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