domenica 13 ottobre 2013

La casa del paleontologo














Sono andata con U. in treno a Bologna un giorno di primavera alla fine degli anni settanta. In quella bella città c'era una manifestazione di studenti, credo molto importante, ma io ero appena arrivata dalla Spagna e capivo poco di politica italiana.
Un amico di un amico di U. ci aveva prestato la sua casa o meglio la sua stanza in uno sgangherato appartamento, dove abitava con altri studenti.
La casa si trovava nel centro storico, in un edificio antico. L'intonaco della facciata era in parte scrostato, il portone era vecchio e pesante e l'ingresso era malconcio. Mentre salivo le ripide e buie scale mi dicevo:
dove sono capitata?
Era una casa labirintica, con molte stanze comunicanti. Noi, con i nostri piccoli zaini, seguivamo silenziosamente uno dei padroni di casa. Attraversando quegli abitacoli, molti dei quali in penombra, guardavo i libri e gli oggetti che erano accatastati negli scaffali. Quello sbirciare in qua e in là, era come un passaggio lampo nella vita degli abitanti di quella casa.
Finalmente, in fondo al lungo corridoio, siamo arrivati nella nostra camera.
Appena aperta la porta della stanza, la luce proveniente dall'interno mi ha illuminato, facendo svanire tutti i mie timori.
Era una camera piuttosto grande con un'ampia finestra, che si affacciava su un bel giardino.
Meno male che è luminosa e accogliente, pensai.
Il letto di una piazza e mezzo era quasi attaccato al muro. Era stato rifatto con cura e coperto con un copriletto azzurro, fatto all'uncinetto. Ai lati due casse di legno scuro, che un tempo avevano contenuto pregiate bottiglie di vino,  facevano  da comodini. Un timido armadio si nascondeva in un angolo. Un tavolo lunghissimo padroneggiava in mezzo alla stanza. Era bello, pensai, perché pieno di libri e quaderni.
Di solito quando siamo ospiti in una casa, prendo dalla libreria un romanzo e lo comincio a leggere, mi sembra così di poter conoscere meglio le persone che ci alloggiano. Quando andiamo via lo rimetto nello stesso posto dove era.
Mi ricordo un libro di una bizzarra casa a Siviglia, dove non potevamo fare la doccia nonostante il caldo soffocante, perché la vasca da bagno era piena di vasi con delle bellissime piante gigantesche, talmente pesanti che abbiamo rinunciato a lavarci. Era il primo romanzo che leggevo di Marcela Serrano, una scrittrice cilena, che ancora amo.
Mi avvicinai a un mobile fatto da mattoni e assi di legno. Negli scaffali c'erano pochi libri, solo due o tre romanzi gialli e alcuni fumetti. Cercai nella parte alta di quella magra biblioteca ma trovai solo libroni, la maggior parte erano trattati di Geologia, Zoologia, Botanica, ma soprattutto di Paleontologia.
In basso, scoprì dei fossili. Li presi subito in mano, ero incantata da quei resti antichi, era la prima volta che li toccavo.
In un piccolo cartellino c'era scritto Ammonite-calcare rosso di Verona. Le mie dita toccarono quei resti di un organismio marino vissuto più di 150 milioni di anni fa. I mie polpastrelli sentirono le spire ruvide, ma eleganti di quella conchiglia gigante, la cui forma a spirale rassomigliava alle corna di un montone.
Mi colpì molto un altro cartellino che diceva: pesce fossile di Bolca. Sembrava un pesce palla, molto cicciotello. Sopra e sotto la testa partivano delle grandi pinne, come se fossero delle ali. La roccia che conteneva quel fossile era chiara, le mie dita sentirono ancora la sabbia finissima dove il piccolo animale era rimasto intrappolato.
Ero curiosa di avere più notizie su quel pesce, quindi presi un trattato di Paleontologia e cercai: i fossili di Bolca (Verona).
Mentre leggevo, seduta sul letto la storia di quei pesci, ogni tanto alzavo la testa e mi  guardavo intorno.  E' stato allora  che ho pensato che la casa del paleontologo mi ricordava quella di Anita, la llevadora1 del  mio paese.
Da piccola quando mi ammalavo andavo da Anita a farmi delle punture, la prima volta che entrai in quella casa mi sembrò buia e tenebrosa e ne fui proprio intimorita.
Ero quasi adolescente, quando un giorno di primavera, mia madre mi chiese di andare dalla llevadora a portarle delle verdure, che aveva raccolto nei campi di mio nonno.
Dopo essere entrata nella sala d'attesa ho percepito lo stesso odore che sentivo da piccola, la mia pancia si è irrigidita, ma appena Anita ha aperto la piccola porta in fondo, che sempre avevo visto sbarrata, una luce intensa mi ha illuminato, facendo svanire tutti i miei timori.
Ho visto una cucina accogliente, con due grandi finestre, che davano su un giardino. Sulla destra ho sentito il fischio di un bollitore posto sul fornello della vecchia cucina economica, accanto in una specie di nicchia c'erano molti tronchetti di legna,accatastati con cura. Un tavolo lunghissimo in mezzo alla stanza era colmo di libri e quaderni aperti, come se qualcuno ancora stesse studiando. Ma la cosa che mi colpì di più fu uno scalfale zeppo di libri, quasi nascosto in fondo.
Suonarono alla porta mentre Anita sistemava le verdure che le avevo portato nell'acquaio posto tra le due finestre.
Anita, di corsa, prese il suo camice bianco e andò ad aprire, lasciandomi da sola in quella strana stanza.
Cominciai a sfiorare i libri aperti sul tavolo. Toccai le vecchie penne stilografiche, le matite consumate e le gomme morbide.
C'erano quattro quaderni a righe e in tutti c'era scritta con calligrafie diverse la stessa poesia:
Son de abril las aguas mil.
Sopla el viento enchubascado
y entre nublado y nublado
hay trozos de cielo añil. Antonio Machado2
Arrivai di fronte allo scalfale, presi alcuni libri in mano e notai che le pagine erano un po' ingiallite e polverose. Mentre accarezzavo quei libri entrò Anita e mi disse che quei testi appartenevano al vecchio maestro Planagomà, e che se volevo ne potevo prendere uno, e una volta letto lo potevo sostituire con un altro. Mi spiegò anche che il vecchio maestro, aiutato da suo marito Anselmo, tutte le sere insegnava a leggere e a scrivere ad alcuni adulti del paese. Immaginai subito la cucina di Anita, piena di persone che scrivevano la poesia di Antonio Machado.
Tornai a casa contenta con il libro in mano e pensai che avrei letto uno dopo l'altro tutti i libri del maestro. Grazie a quei libri che mi aveva prestato Anita ho cominciato ad amare la lettura.
L'indomani siamo andati alla stazione di Bologna e abbiamo preso un treno per Firenze. Mentre guardavo dal finestrino quelle montagne appenniniche che contenevano tanti segreti della vita della Terra ho deciso che avrei studiato paleontologia.


1 levatrice

2 Sono di aprile le acque mille, soffia il vento temporalesco e tra una nuvole e un'altra appaiono pezzi di cielo azzurro.


Nessun commento:

Posta un commento