mercoledì 5 settembre 2012

Sardanes e Jazz










 
 
 

Quattro musicisti suonavano Jazz una sera d'estate, mentre ero seduta davanti a un palco.
Quel pomeriggio mi era arrivato l'invito di una amica ad andare nella piazza del mercato, dove il suo compagno la sera suonava.
Ero da sola perché U. era stanco, cosa strana in lui, che è sempre pronto ad uscire di casa.
L'aria era calda, ma nello stesso tempo gradevole, perché soffiava un po' di vento. Nel cielo si vedeva una luna piena molto luminosa.
Mi piaceva stare in mezzo alla gente sconosciuta per potermi guardare intorno, osservando attentamente quel pezzettino di mondo, mentre mi ponevo tante domande:
- Cosa ci facevo in quell’immenso universo? Quanto era grande e dove finiva?
- Quante persone avevano visto e quante altre vedranno la stessa luna e le stesse costellazioni?
Chiudevo gli occhi ed immaginavo il nostro pianeta. Lo vedevo come un minuscolo sassolino insieme ad altri granellini che giravano intorno a un corpo luminoso. Via via vedevo migliaia di stelle vicine alla nostra, nella parte periferica della galassia, la quale faceva parte di uno dei tanti ammassi galattici del nostro sconfinato universo. Questo pensiero mi faceva girare un po' la testa, ma allo stesso tempo mi permetteva di apprezzare maggiormente la gente e le cose intorno a me.
Forse anche le formiche si disorientavano guardando in lontananza. Ho ricordato un vecchio libro, che sfogliavo da piccola, le cui illustrazioni di un formicaio mi avevano molto colpita. I piccoli insetti avevano costruito il loro rifugio dentro a un pezzo di tronco marcio, in una zona fitta della foresta tropicale. L'albero per questi animaletti forse era il loro sistema solare, ho pensato. C'erano innumerevoli alberi nella boscaglia che loro non potevano vedere. Inoltre non avrebbero mai potuto scoprire che oltre alla loro foresta, formata da tante specie vegetali, ce n'erano altre. Pensavo che se le formiche avessero potuto ragionare, mentre guardavano il confine del loro tronco, si sarebbero sentite smarrite come me, ma forse anche felici di stare tutte insieme nel nido che si erano costruite con tanto impegno.
Accanto al palco, scorrazzavano alcuni bambini e in fondo alla piazza altri ragazzi giocavano al pallone. Guardando quei fanciulli mi sono vista da piccola correre per la piazza principale del mio paese.
Tutte le domeniche d'estate, all'imbrunire, gli abitanti del paese, andavano nella piazza a ballare sardanes1,o a sedersi nei tavolini al fresco, mentre ascoltavano la musica e prendevano un bicchiere di horchata de chufa2.
Nel tardo pomeriggio, gli organizzatori della serata montavano, in fondo alla piazza, un piccolo palco di legno, dove unorchestra, la sera, avrebbe suonato. Per i più piccoli cominciava allora la festa. La cosa più bella era giocare sul palco e correre liberamente per la piazza.
Quando sentivamo le prime note musicali, dovevamo ritornare al tavolo, dalla nostra famiglia, ma dopo poco scappavamo via per sederci in mezzo a uno dei cerchi che formavano i danzanti.
Dal basso vedevo le gambe dei ballerini che si muovevano come le dita di un musicista quando suona un pezzo al pianoforte. Ricordo che alcune volte seduta per terra mi divertivo ad osservare le scarpe dei danzatori.
Guardavo i sandali nuovi, ma già deformati, della paffuta macellaia, che sfiguravano accanto alle belle scarpe di cuoio allacciate di suo marito, il quale da alcuni anni era il sindaco del paese. Ammiravo poi, le scarpine rosse della vanitosa parrucchiera, che risaltavano vicino ai consumati mocassini del postino, gli stessi che, tutte le mattine, con passi sicuri spingevano la bicicletta, con sopra il borsone carico di missive. Le sue gambe si muovevano con un brio speciale e io ne rimanevo incantata. Sì, ricordavo bene quei piedi, quando si appoggiavano sul gradino dell'entrata della nostra casa, dove d'estate giocavo seduta con le mie bambole, ne ero felice, perché sicuramente avrebbero portato un vampata di novità. Ogni mattina lo sentivo cantare, mentre lasciava nelle case vicine delle lettere, alcune d'amore, mi piaceva pensare. Quando invece vedevo una striscia nera in alto nella busta, sapevo che erano avvisi mortuari. Recapitava spesso le cartoline di alcuni paesani emigrati in America o le notizie dei tanti esuli della guerra civile. Altre volte vedevo grossi pacchi legati con un grezzo spago, che fuoriuscivano dalla sua borsa di cuoio, raramente portava telegrammi o notifiche notarili, ma una volta all'anno consegnava ai ragazzi ventenni le cartoline di richiamo alla leva.
 Alcuni ballerini però, calzavano le comode esperdenyes catalanes3, nonostante la domenica fosse abitudine indossare gli abiti e le scarpe migliori.
Altre volte mi piaceva seguire l'andamento di due scarpe sconosciute, che sceglievo tra le tante per costruirci una storia.
Mi ricordo una giovane villeggiante, forse di Barcellona, che una sera, per ballare meglio, si levò, le scarpe. Allora pensai che era una donna coraggiosa, che non le importava cosa dicessero gli altri. Immaginai la sua vita così: viveva con le sue amiche nel centro della città, lavorava come infermiera, aveva un innamorato, ma soprattutto era molto indipendente, forse come mi sarebbe piaciuto essere da grande.
Una domenica di fine estate in cui ero seduta, un po' distante dagli altri bambini, in mezzo al cerchio di ballerini, la mia mente si era allontanata dalla piazza mentre mi facevo delle domande:
- cosa ci facevo in mezzo a tanti piedi? Perché c'erano tante stelle? Dopo la morte dove andavano tutte le persone? Oltre a quelle stelle ce n'erano altre?
La musica jazz aveva smesso di suonare, la gente aveva cominciato ad alzarsi e ad andare vai.
Camminando per le strade ancora calde del mio quartiere, mentre tornavo a casa, sorridevo pensando che la musica delle sardanes e quella del jazz erano molto diverse, ma che entrambe quella sera mi avevano procurato delle belle sensazione.
 
Josefina Privat Defaus.
 Novembre 2011


1  Antica danza popolare catalana, molto semplice, dove le persone, di ogni estrazione sociale, si prendono per le mani formando grandi  cerchi, muovendosi e saltando a suon di musica. Forse ha origini nel “ballo tondo” sardo.
 2  Bevanda naturale e molto rinfrescante preparata con acqua, zucchero e latte di tubercolo ipogeo, diffuso nelle piane di Valencia, chiamato in catalano o valenciano xufa
3  Ciabatte di tela con la suola di corda tipiche della Catalogna

 

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